Annarita Mastrangelo
L’amuleto di corallo
rosso
Il cielo non aveva più
quel triste grigiore dell’inverno, si era vestito di sole con tramonti
incantati, e Joline desiderava più di ogni altra cosa partire per un nuovo
viaggio, lontano da tutti e tutto. Negli ultimi anni la sua vita era stata a
dir poco rocambolesca, e spesso pensava di esser diventata una trapezista, era
sempre in bilico su quella corda e forse per questo fin da piccola non amava il
circo. Ma se ci fossero state molte vite da rivivere? Sarebbero state sempre
poche, e probabilmente diverse, magari peggiori o migliori, e per quanto la sua
fosse stata puntualmente crudele, la sfidò e accettò con una sottile serenità,
questo era il suo segreto.
Trascorsero mesi e ben
presto arrivò il giorno della partenza, e per fortuna per alcune cose non è mai
troppo tardi.
Isola di Zante –
estate
Joline si alzò
all’alba in compagnia del cinguettio dei passeri che sembravano festeggiare il
suo arrivo: è così che ebbe iniziò la magia, con un dolce risveglio. Quella
mattina la prima cosa che fece, corse sulla veranda dove suoi occhi si posarono
su una distesa di mare blu cristallino. Per un bel po’ ammirò tutto ciò che la
circondava, e mentre contemplava l’infinito si sentì pervasa da un forte senso
di libertà, decise che era giunto il momento di esplorare quel luogo da cui era
rimasta rapita, e uscì di casa.
Joline stette
tutto il giorno fuori, era impossibile stancarsi in quell’oasi di felicità,
camminare a piedi nudi tra i glicini che emanavano un profumo intenso, era
quanto di più eccitante potesse fare, senza pregiudizi, ma soprattutto senza
sentirsi gli occhi di tutti puntati addosso. Lei proveniva da una famiglia che
si etichettava “perbene”, dove le apparenze dovevano sempre essere
salvate a tutti i costi, un’ipocrisia intrisa di fango a cui non si amalgamò
mai. Era per definizione la giacobina della famiglia, fin quando si rese conto
che la cosa migliore era costruirsi una vita dove nessuno poteva più entrare
come una lama tagliente, e ci riuscì.
Quel giorno passeggiò
per ore tra i turisti che affollavano i piccoli negozietti, alcuni dei quali
sembravano storditi; a suo avviso un po’ per il caldo e un po’ per l’acquisto
del souvenir all’ultimo minuto. Quanta eccitazione, avrebbero calpestato
qualsiasi cosa. Dopo tanto girovagare ben presto arrivò la sera, e decise di
riposarsi sulla scalinata di una chiesa sorseggiando una limonata ghiacciata,
quando la sua attenzione venne catturata da un giovane che iniziò a suonare il
sax proprio accanto a lei, era molto bravo e con la sua esibizione, purtroppo,
cercava di racimolare qualche soldo. Avrebbe desiderato scambiare qualche
parola con lui, e sebbene avesse una barba lunga e incolta che lasciava
intravedere solo le sue labbra carnose, i suoi abiti erano puliti. Joline,
però, preferì rimanere in silenzio e se ne stette ancora per un paio di ore ad
ascoltarlo, dopodiché un episodio colpì il suo animo: alcune persone, guardando
i suoi piedi nudi, oramai neri come il carbone, si chinavano per donare qualche
moneta sulle sue belle ciabattine. Non riuscì a dire nulla, mentre una lacrima
scese sul suo viso: anche lei, in fondo, ancora una volta si ritrovava
sull’orlo del baratro a causa di quella famiglia tanto perbene. Attese
qualche minuto, poi si alzò, prese quei pochi spiccioli, e con un sorriso li
lasciò tra le mani di Eric; quello era il suo nome, sempre che fosse stato
vero! Tornò di nuovo tra la folla, e vide che molti abiti vintage erano appesi
all’esterno dei negozi, si ricordò di quanto fosse stato bello il periodo
trascorso a San Francisco, dove ogni anno trascorreva le sue vacanze ed andava
sempre a fare shopping nelle boutiques vintage.
E fu proprio dodici
anni prima che ebbe inizio la sua simbiosi con l’oceano, a Half Moon Bay[1],
con un incontro che rappresentò per lei una rinascita. Mentre era assorta
nei suoi ricordi, notò che qualcuno la stava osservando, cercò di farsi avanti
tra i passanti pian piano, e improvvisamente quegli occhi neri scomparvero.
Si incamminò di nuovo,
Joline indossava un vecchio jeans strappato e una camicia bianca di lino molto
leggera, che lasciava intravedere le sue forme, era il suo abbigliamento
preferito, mentre tra le mani pendevano le sue ciabattine infradito rosa. Si
guardò bene intorno, eppure era certa di aver visto quello sguardo, fisso di
fronte a lei. Riprese a camminare, e con passo veloce percorse tutta la
piazzetta fino a raggiungere il portoncino di casa, entrò, e con il fiato corto
lo chiuse subito dietro di sé.
Era esausta dal caldo,
del resto come primo giorno aveva camminato moltissimo, così crollò sul
divanetto di vimini che era sulla terrazza in compagnia di quell’universo che
era al di sopra di lei; che spettacolo ammirarlo, fu la sua risposta a quel
miracolo che era la vita! Joline vide l’orologio, era notte fonda oramai, così
si adagiò sul letto, dalla finestra aperta sul cortile interno si intravedeva
la luna piena, e mentre stava per addormentarsi udì un rumore simile al
calpestio delle foglie secche, si affacciò e nella penombra vide uomo fuggire
via. Chiunque fosse, chiuse le finestre e si addormentò.
Il giorno seguente
Joline spalancò gli occhi, il sole era già alto e si rese conto di essere in ritardo,
l’attendeva la baia delle tartarughe, era emozionata come non mai, anche se
ancora perplessa per quanto accaduto la sera precedente. Prima di andare, però,
si tolse dal collo il suo amuleto di corallo rosso, raramente lo faceva, ma
temeva di perderlo in acqua. Aveva trovato quel ciondolo passeggiando proprio
sulle rive dell’oceano, ad Half Moon Bay, e custodiva molti ricordi, uno dei
quali era ancora imprigionato nel suo cuore. Era ora di affrettarsi, entro
mezz’ora doveva trovarsi sulla spiaggia, ma lungo il sentiero si accorse o che
qualcuno già da un po’ la stava seguendo, infatti poco dopo quell’ombra la
sopraggiunse… lei si voltò e disse:
“Hey!”
Con molta freddezza
indietreggiò, e fece un mezzo giro con il busto, un movimento per cogliere di
sorpresa chiunque fosse alle sue spalle, ma rimase di stucco quando quell’ombra
si trasformò in un aitante giovanotto.
“Salve!” rispose il
ragazzo sorridendo.
“Dico…che modi!”
esclamò lei con tono pacato.
“Non volevo irritarla,
o spaventarla, bensì avere il piacere di conoscerla.”
“Chi è lei, e cosa
vuole da me? L’ho riconosciuta, e sono certa che mi sta seguendo.”
“È vero, ieri sera
l’ho notata mentre era seduta accanto al sassofonista, e così mi sono
incuriosito.”
“Ah, incuriosito, e
per cosa?” domandò stupita.
“Per il gioiello che
lei indossava al collo.”
“Gioiello?”
“Esatto, quello di
corallo rosso, lei non poteva essere una mendicante, a meno che non lo avesse
rubato, e nel dubbio…”
“Credo che lei abbia
preso un abbaglio, e stia farneticando: quello che lei dice essere un gioiello
è solo un pezzo di corallo raccolto sulla spiaggia” rispose indispettita.
Dopo una breve conversazione finalmente si chiarirono, il giovane era un
antiquario di antichi gioielli, e quella sera rimase colpito sia dalla sua
bellezza, sia per ciò che indossava al collo, a tal punto che la seguì fino a
casa.
Maximilian Harrison
cercò di convincerla con diverse offerte, ma tutte puntualmente rifiutate!
Joline era sempre stata ignara di possedere un gioiello prezioso, di un valore
da capogiro. In ogni caso, per nessuna ragione al mondo se ne sarebbe mai
disfatta, nonostante venderlo l’avrebbe aiutata a risolvere il suo dissesto
economico, da cui era intrappolata da anni.
Quel ciondolo per lei
rappresentava il canto del mare, le aveva insegnato ad ascoltare molte voci,
soprattutto quella interiore, e suggellava un amore per sempre inconfessato,
che tale rimase per sempre, tra le onde dell’oceano. L’estate con i suoi profumi,
le sue storie, passioni: fu così che Joline aveva iniziato la sua nuova vita
molto tempo prima, passeggiando a piedi nudi sulle rive dell’oceano, dove puoi
seppellire tutti i tuoi dolori, qualche segreto e rinascere ogni volta,
assaporando una nuova esistenza, lasciando andare … e perdonando.
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