Recensione a Una luce splenderà -
Recensione
al racconto UNA LUCE SPLENDERA’ di Annarita Mastrangelo a cura di Cinzia Baldazzi è giornalista, ha studiato presso
l’Università La Sapienza
di Roma, vive nella capitale e lavora presso Rai Tv come collaboratrice e
consulente
Decidere di leggere un racconto appartenente
alla letteratura moderna o contemporanea, se si è compiuta la scelta
appropriata, vuol dire – in genere - allontanarsi, in certi casi in
modo anche brusco, da alcune esigenze e aspettative fondamentali
proprie del romanzo tradizionale sia ottocentesco che tipico del secolo
trascorso, anche se in forma assai meno caratterizzante.
La prima di esse – e “Una luce splenderà” ne
rappresenta una valida testimonianza – è il cercare tra parole, righe e
suddivisioni varie, lo svilupparsi più o meno lineare, oppure a tratti
interrotto e ripreso, di una storia, di un messaggio, comprensibile e
collocabile in uno spazio-tempo narrativo ben determinato. Al contrario del
romanzo tradizionale, il racconto, per essere breve, deve
basarsi su una intoccabile indissolubilità tra presente
e passato (con risultati spesso di intensa drammaticità) che
consenta al narratore un discorso futuro senza preavviso
alcuno, senza cioè dover impegnare spazio a illustrare alcun
tipo di precedente, neanche se vivo e in atto nel tempo
attuale.
Il tutto comporta, ovviamente, un certo
disinteresse – altissimo in alcuni modelli narrativi, appena percettibile in
altri - nei confronti della chiarezza esplicativa su cosa accade o su
cosa si pensi e, a volte addirittura, a quale personaggio sia relativo un
episodio evocato, descritto, o riconducibile un pensiero espresso.
In seconda istanza, il lettore che si avventura
in pagine del genere è giusto non nutra alcuna aspettativa nei confronti
di una articolazione di discorso, nella scelta di una forma da
parte dell’autore, che privilegi la semplicità a favore di
una trasmissione quanto più immediata del messaggio. Direi piuttosto che
nel racconto, dal Novecento ai giorni nostri, è accaduto qualcosa di simile a
quanto avvenuto nel romanzo a partire da “L’urlo e il furore” (1929) di
William Faulkner, insieme alle opere di Conrad, Proust, Joyce e della Woolf.
Vale a dire: la forma espressiva è divenuta un
imprescindibile punto di vista interpretativo del messaggio poiché, connessa
alla struttura e alla tecnica di sviluppo della storia, cresce, matura e
sviluppa in modo inestricabile proprio il suo significato, o meglio i
suoi significati.
Non credo, dunque, Annarita Mastrangelo abbia
voluto rendere effettivamente partecipe e conscio il lettore di eventi e
fenomeni concreti e di pensiero storicamente vissuti da Alanna
e dai personaggi a lei accanto (o al di sopra) nella storia. A tale
proposito, non siano fuorvianti le datazioni sparse qua e là nel suo scritto.
Basti pensare che, in Faulkner, come esempio-chiave, il racconto
di Benjy, il fratello minorato della famiglia Compson, autore della sezione
(ovviamente) più al di fuori da un ordine tradizionale di eventi
spazio-temporali e di pensiero, è siglato da una data ben precisa (come del
resto, in seguito, il suicidio di Quentin).
Della giovane Alanna e degli altri, infatti, al
termine del narrato non possediamo informazioni in alcun modo conclusive
circa il presente-futuro in rapporto al passato. Anzi, nel
trascorrere della vicenda si crea una sorta di suspense alla rovescia,
spostando l’attenzione su ciò che è già avvenuto e non su quanto è, invece,
in procinto di verificarsi (“Non so come andranno le cose tra me e Pier –
scrive a un certo punto la protagonista all’amica Felicia – so solo che mi è
accaduto qualcosa di veramente unico … A volte il coraggio e la speranza
ci aiutano se noi ci andiamo incontro, anche se non ti nascondo che
spesso ho la sensazione di tirare una fune che ho timore si possa spezzare di
nuovo…”).
Che ne è e che ne sarà di Alanna dopo la
tragedia e la ripresa? “Alanna ora è un fantasma con cui giocare a nascondino
– conclude l’autrice – e l’altra parte di me è un gabbiano in volo!” Ma come,
si potrebbe obiettare, il fantasma è un ricordo effimero e funesto di un
vissuto: perché
E’ chiaro che una serie di quesiti così
proposti risulterebbe fuori luogo, dal momento che
E’ bene, in conclusione, rispettare e assaporare
il coraggio dell’universo narrativo entro cui vuole collocarsi “Una luce
splenderà”, dove, attraverso la mente dei personaggi, senza il peso di alcuna
sovrastruttura derivante da mediazioni e interpolazioni personali (del
tipo: lieto fine, espiazione dei peccati, felicità
riconquistata e via di seguito) si possono cogliere frammenti
inquietanti, altamente significativi di una realtà obbiettiva
della quale, però, sino alla fine, sino all’ultima riga, nulla di
indiscutibile e vissuto è noto.
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